mercoledì 17 aprile 2024

Esercizio di ottimismo

L’Europa che verrà

(di Felice Celato)

Da molto tempo, ormai, ho smesso di “appassionarmi” alle vicende politiche ed elettorali italiane: la povertà di idee, le selvagge fiere della banalità, l’estesa inaffidabilità e spesso irresponsabilità dei messaggi che si convogliano verso elettorati superficiali ed emotivi,  sono tutti elementi che mi tolgono persino la voglia di parlarne (*). 

Una circostanza però, ad una cinquantina di giorni da quello che considero un passaggio elettorale di decisiva importanza per il nostro futuro, mi induce ad esercitarmi in uno sforzo di ottimismo. 

Chi – malgrado tutto – almeno sfoglia i giornali, avrà avuto modo di notare il rilievo che ha avuto il discorso di Mario Draghi alla High-Level Conference sui diritti sociali, tenutasi ieri in Belgio. Non ostanti alcuni commenti, ispirati – come spesso accade da noi – da faziosa malignità e da preconcetta ostilità alla sostanza di quei concetti, mi pare che si vada cogliendo il salto di qualità (e anche di quantità) che Draghi sta proponendo a livello europeo sul futuro dell’Unione Europea, con singolare chiarezza di linguaggio e con il peso del fondato prestigio di cui gode; un salto di qualità che i mutati scenari geopolitici ed economici del mondo impongono ma che, ovviamente, non può realizzarsi se ne manca la percezione di necessità e la volontà di darvi corso, con tutta l’urgenza del caso. Percezione e volontà che non risiedono in qualche astratto ufficio di Bruxelles o di Strasburgo o di  Francoforte (**); ma, invece, risiedono nelle stanze delle politiche di ciascuno dei membri dell’Unione e, quindi e soprattutto, nelle urne cui si recano i rispettivi cittadini.

Ecco: in vista del passaggio elettorale cui accennavo all’inizio, mi pare doveroso esercitarmi, come dicevo, in uno sforzo di ottimismo: nonostante la perdurante confusione degli schieramenti politici che scenderanno in campo per tale passaggio elettorale; nonostante la difficoltà di liberare le menti dalle nebbie nelle quali abbiamo coltivato la (ahimè) diffusa percezione dell’Europa, cui pure, invece, tanto dobbiamo; nonostante la radicata indifferenza e la propensione all’omissione della nostra società (Cfr. Censis: La tentazione del tralasciare, 6 aprile 2024); nonostante tutto ciò, dal tasso di partecipazione del Paese nella elezione del 6 giugno e, soprattutto, dal grado di coinvolgimento emotivo ed intellettuale nel ri-disegno dell’Europa che verrà, dipenderà – secondo me – il nostro futuro economico e politico. E in questo contesto, anche il fatto di poter contare su un pensiero forte ed autorevole sia in Italia che in Europa e nel mondo, mi pare possa essere una ragione per sperare che stavolta dalle urne possa emergere – se non una congerie di uomini o donne eccellenti –almeno la percezione forte che l’Europa conta per noi più assai di qualsiasi altro aggregato politico o sociale.

Roma, 17 aprile 2024

 

(*) segnalo una lucida ma deprimente lettura [di Veronica de Romanis Il pasto gratis – Dieci anni di spesa pubblica senza costi (apparenti), Mondadori, 2024], che raccomando a tutti, anche a non specialisti della materia, perché l’autrice, oltre ad essere (rara avis!)  molto competente in ciò di cui parla, ha anche il dono di essere una divulgatrice abile ed efficace. Il suo libro è una sconsolata panoramica dell’ultimo decennio politico italiano, del quale, nella materia de qua, quasi nulla si salva. L’unica obiezione che faccio alla sua ricostruzione meriterebbe una nota a parte, ma non mi va di farla qui perché necessiterebbe di uno spazio che queste righe non consentono: essa concerne un ben noto concetto usato a Rimini, nell'agosto 2020, dal non ancora Presidente del Consiglio Mario Draghi (il famoso “debito buono”); concetto che, a mio giudizio, è semplicemente giustissimo (starei per dire: di elementare evidenza) ancorché – lo riconosco – pericoloso da mettere in mano a politicanti finanziariamente irresponsabili quali sono molti dei “nostri”.


(**) per intenderci: quegli uffici che di volta in volta prendiamo di mira per lamentare l’inefficacia o addirittura l’ostilità dell’Europa verso le sacrosante aspirazioni della nostra “nazione”, fiera del suo parmigiano ma dimentica delle infinite volte in cui, per prima, proprio in materia di finanza pubblica, l’Italia si è sottratta al suo dovere di solidarietà dei comportamenti fiscali e di rispetto autentico delle regole che essa stessa ha approvato; anche su questo, vedasi il libro sopra citato.

martedì 2 aprile 2024

Un anniversario

Mio padre

(di Felice Celato)

Oggi di cent’anni fa nasceva mio padre; lo ricordo a quanti dei miei amici lo hanno conosciuto in vita (è morto, quasi novantenne, nel 2013) e non possono non conservarne un ricordo simpatico, perché lo era veramente; a quanti non lo hanno conosciuto dirò solo che si trattò di un uomo serio (nel senso più adatto a lui descritto dalla Treccani alla voce “serio”:  che ha e riflette un'abitudine, rettitudine, capacità e volontà di assolvere i propri doveri e gli impegni assunti) ma ironico e spiritoso, e di grande umanità. La sua storia personale ne fa un figlio dell’Italia post-bellica, quando cominciò a lavorare, fresco di laurea e di matrimonio, conoscendo le difficoltà della rinascita del paese devastato dalla guerra e i piccoli successi che pure esso offriva nel suo nuovo contesto economico e sociale. Per noi figli costituì per tutta la vita la cara e terrena immagine della Paternità Celeste: ci riuscirebbe difficile immaginarLa senza pensare che Essa ne ha tratteggiati per noi, in lui, i migliori tratti cui un uomo possa aspirare.

Roma, 2 aprile 2024

sabato 30 marzo 2024

Pasqua 2024

Auguri trepidanti

(di Felice Celato)

Eccoci qua, nel Sabato Santo, giorno del silenzio di Dio [ma, come scriveva JR in una sua indimenticabile meditazione, noi abbiamo bisogno del silenzio di Dio per sperimentare nuovamente l’abisso della sua grandezza e l’abisso del nostro nulla che verrebbe a spalancarsi se non ci fosse lui, (cfr. post del 16 4 2022, Nel tempo del Sabato Santo)]; eccoci qua – dicevo – ancora una volta  a farci gli auguri della Pasqua di Risurrezione, con la trepidazione che i tempi generano.

Di questa resurrezione, anche e soprattutto, noi abbiamo bisogno per la nostra vita interiore e per la nostra vita collettiva. Certo, la Chiesa  (come scrive Adrien Candiard O.P. nel libro qui già segnalato) per i destini del mondo non ha nulla da offrire. In magazzino ha un unico prodotto: la salvezza, la vita eterna. Se lascio intendere che abbiamo altre cose, allora rischio di ingannare chi mi ascolta…); ma la Resurrezione che ci propone la fede della Chiesa ha una sconfinata dimensione interiore che di per sé sarebbe in grado di cambiare il mondo, se solo tutti ne vivessimo integralmente il senso più profondo. E così non è, a cominciare da noi cristiani, naturalmente.

Ma la resurrezione non può non apparirci, come uomini, anche una istanza civile, in questo tempo di sonno della ragione, che, come illustrava Francisco Goya, genera mostri. Di quelli del presente, non è nemmeno il caso di fare qui un macro-elenco, tanto ci sono evidenti nelle loro più mostruose manifestazioni quotidiane sugli scenari del mondo. 

Allora di quale risurrezione civile andiamo sognando? Svegliarci dal sonno della ragione è, di per sé, una resurrezione civile alla portata anche di chi nella Resurrezione interiore – nel senso della Pasqua cristiana – non crede? O anche questa, per dirla con Roger Scruton, è una forma di ottimismo senza scrupoli?

Beh, io non credo che sia così; noi nel giorno di Pasqua abbiamo il dovere di credere che è possibile svegliarsi al senso della ragione, che, in fondo, ravvicina ciò che l’uomo moderno pretende essere il suo campo alla profonda natura del Dio Cristiano (In principio era il Logos).

E tuttavia non mi sfuggono le enormi difficoltà di depurare questa umana ragione dalle scorie culturali delle storie dei popoli, dalle contraddizioni delle (vere o più spesso false) “ragioni” che si contrappongono l’una all’altra in sanguinose controversie, per modo che esse confliggono nella congiunta negazione più profonda della stessa ragione; assumendo di volta in volta la natura della prepotenza più smaccata e della violenza più spietata, alla quale d’altra parte è doveroso resistere, senza che ciò faccia venir meno l’istanza suprema della ragione  e la necessità di credere in essa come decisiva possibilità.

L’intreccio è inestricabile, me ne rendo benissimo conto; ma non vedo altre strade ragionevoli, diverse da quella di credere in una resurrezione della ragione. Come cristiano, alla luce della Pasqua, non mi resta che rivolgere a Dio, nel giorno che celebra la Resurrezione del Dio fattosi uomo, la preghiera degli apostoli sulla barca nella tempesta, mentre il Maestro dorme: o Signore, non possiamo fare a meno di scuotere te, Dio che stai in silenzio e dormi, e gridarti: svegliati, non vedi che affondiamo? Destati, non lasciar durare in eterno l’oscurità del Sabato Santo…non permettere che la tua parola si perda nel grande sciupio di parole di questi tempi. Signore, dacci il tuo aiuto, perché senza di te affonderemo. Amen.

Roma, 30 marzo 2024, Sabato Santo

domenica 24 marzo 2024

Settimana santa

In compagnia dei teologi

(di Felice Celato)

In questa giornate di fresca primavera, come ogni anno da qualche tempo, mi fa compagnia un piccolo volumetto (appena un’ottantina di pagine) già altre volte qui segnalato e che torno a raccomandare come fosse un vademecum per le meditazioni che noi cattolici ci affidiamo in questo tempo liturgico. Si tratta di una breve raccolta di pensieri di due grandi teologi del nostro secolo (Karl Rahner e Joseph Ratzinger) raccolti dall’editore Queriniana sotto il semplice titolo Settimana santa (2012). E come altre volte, mi piace, anche quest’anno, trarne una lunga citazione di Joseph Ratzinger che mi pare adatta ai tempi selvaggi che viviamo.

Tu pendi dalla croce. Ti ci hanno inchiodato. Non puoi più staccarti da questo palo ritto fra terra e cielo. Le ferite bruciano nel tuo corpo. La corona di spine tormenta il tuo capo. I tuoi occhi sono iniettati di sangue. Le tue mani e i tuoi piedi feriti son come trapassati da un ferro rovente. E la tua anima è un mare di dolore, di desolazione, di disperazione.

I responsabili di tutto questo son qui, ai piedi della tua croce. Neppure si allontanano, per lasciarti almeno morire solo. Anzi, rimangono, ridono, convinti di avere ragione. Lo stato in cui ti trovi ne è la dimostrazione più evidente: la prova che quanto hanno fatto non è che l'adempimento della più santa giustizia, un omaggio dato a Dio, di cui dovrebbero andare orgogliosi. 

Per questo ridono, insultano, bestemmiano. Intanto su di te si abbatte, più spaventosa di tutti i dolori del corpo, la disperazione verso una tale malvagità. Ci sono davvero degli uomini capaci di tale bassezza? C'è ancora tra te e loro un pur minimo punto in comune? Può un uomo torturarne un altro, così, fino alla morte? Straziarlo fino ad ucciderlo, col potere che deriva dalla menzogna, dall'abiezione, dal tradimento, dall'ipocrisia, dalla perfidia, e mantenere ancora le apparenze del diritto, l'aspetto dell'innocente, la posa del giudice imparziale? E Dio permette questo nella sua creazione? E la risata e lo scherno dei nemici possono risuonare, chiari e trionfanti, nel mondo di Dio? O Signore, il nostro cuore si sarebbe già spezzato in una forsennata disperazione. Noi avremmo maledetto i nostri nemici e Dio con loro. Noi avremmo urlato e cercato di strappare, come pazzi, i chiodi per riuscire a stringere ancora una volta il pugno.

Tu invece dici: Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno. Sei incomprensibile, Gesù. C'è ancora, nella tua anima martoriata, terremotata dal dolore, una zolla sulla quale possa fiorire questa parola? Sei proprio incomprensibile. Tu ami i tuoi nemici e li raccomandi al Padre tuo. Tu preghi per loro. Signore! se non fosse bestemmia direi che tu li discolpi con la più inverosimile delle scuse: “Non lo sanno”. Si, invece, che lo sanno: sanno tutto! Ma hanno voluto ignorare tutto. Non c'è cosa che si conosca meglio di quella che si vuole ignorare, nascondendola nel sotterraneo del più segreto cuore. Ma nel tempo stesso la si odia, e perciò le si rifiuta l'accesso alla chiara coscienza. E tu dici che essi non conoscono quello che fanno. Una cosa soltanto certamente non conoscono: il tuo amore per loro, perché quello lo può conoscere solo chi ti ama. Solo l'amore, infatti, permette di comprendere il dono d'amore…. 

Roma 24 marzo 2024, Domenica delle Palme.

 

martedì 12 marzo 2024

Voci dall'Italia

“Ambrosia, e impiccarli”

(di Felice Celato)

Sono (quasi) certo che tutti i lettori di queste colonnine avranno riconosciuto nel titolo di questo post un divertente passo dal capitolo V de’ I promessi sposi del nostro grande Don Lisander (Alessandro Manzoni, ovviamente). Il buon fra’ Cristoforo, nell’intento di difendere i suoi figlioli (Renzo e Lucia), si mette in cammino per affrontare Don Rodrigo, certo solo del provvido sguardo di Dio [Egli v’assisterà: Egli vede tutto: Egli può servirsi anche d’ un uomo da nulla come sono io per confondere un…. Vediamo, pensiamo a quel che si possa fare…. Se Dio gli tocca il cuore e dà forza alle mie parole, bene: se no, Egli ci farà trovare qualche altro rimedio.]

Giunto al palazzotto di Don Rodrigo, vi trova – riuniti a rumoroso banchetto –, oltre al padrone di casa, un certo conte Attiliosuo collega di libertinaggioil signor podestà (quel medesimo a cui, in teoria, sarebbe toccato a far giustizia a Renzo Tramaglino) e il dottor Azzecca-garbugli, in cappa nera, e col naso più rubicondo del solito, e – infine – due convitati oscuri… che non facevano altro che mangiare, chinare il capo, sorridere e approvare ogni cosa che dicesse un commensale e a cui un altro non contraddicesse.

Inevitabilmente, dato il prestigio di cui godeva Fra Cristoforo anche presso tali personaggi (prestigio morale, si sarebbe detto se il profilo umano dei commensali lo avesse consentito), il buon cappuccino viene invitato al tavolo dei commensali, gli viene offerto del vino; e, inevitabilmente, assiste alla conversazione fra gli allegri commensali che si sfidano su controversie cavalleresche e discussioni politiche [era in corso la guerra di successione per il ducato di Mantova… e so di buon luogo che il Papa, interessatissimo, com'è, per la pace, ha fatto proposizioni… dice il conte Attilio. Così deve essere; la cosa è in regola; sua Santità fa il suo dovere; un Papa deve sempre metter bene tra i principi cristiani; ma il conte duca ha la sua politica, e... dice il podestà], senza dimenticare pomposi brindisi ed elogi del vino [un liquore simile non si trova in tutti i ventidue regni del nostro signore, che Dio guardi] e feroci commenti sulla carestia [non c'è carestia - diceva uno - sono gli incettatori. E i fornai - diceva un altro - che nascondono il grano. Impiccarli! Appunto; impiccarli, senza misericordia. De’ buoni processi – gridava il podestà. Che processi? – gridava più forte il conte Attilio – giustizia sommaria. Pigliarne tre o quattro o cinque o sei, di quelli che, per voce pubblica, son conosciuti come i più ricchi e i più cani, e impiccarli. Esempi! esempi!  senza esempi non si fa nulla.]

Commenta il buon Don Lisander (che mi perdonerà per lo scempio della sintesi): Chi, passando per una fiera, s’è trovato a goder l’armonia che fa una compagnia di cantambanchi, quando, tra una sonata e l’altra, ognuno accorda il suo stromento, facendolo stridere quanto più può, affine di sentirlo distintamente, in mezzo al rumore degli altri, s’immagini che tale fosse la consonanza di quei, se si può dire, discorsi. S’andava intanto mescendo e rimescendo di quel tal vino; e le lodi di esso venivano, com’era giusto, frammischiate alle sentenze di giurisprudenza economica; sicché le parole che s’udivan più sonore e più frequenti, erano: ambrosia, e impiccarli.

Finito il ripasso di antiche (ma perenni) letture, vengo al presente; l’ho riletto, questo capitolo V de’ I promessi sposi (come consiglio a tutti di fare), perché la conversazione al banchetto di Don Rodrigo mi è tornata in mente, in questi giorni, leggendo le voci dall’Italia: lo stesso mix di fatuità e sommarietà, la banalità dei “giornalisti”-tifosi di questa o di quell’altra fazione, le contese più o meno cavalleresche, le geo-politiche regionalistiche, etc. 

Sullo sfondo, però, c’è ben altro che la guerra di successione al Ducato di Mantova, purtroppo. E di ambrosia, nemmeno la traccia. Di contemporanei podestà, di conti Attilio dalla facile impiccagione di incettatori, di Azzecca-garbugli in cappa nera, e col naso più rubicondo del solito e di convitati oscuri che non fanno altro che mangiare, chinare il capo, sorridere e approvare (magari in favore di telecamera) ogni cosa che dicesse un commensale e a cui un altro non contraddicesse, invece, c’è grande abbondanza.

Roma  12  marzo 2024.

  

sabato 17 febbraio 2024

Letture peri-evangeliche

Segnalazioni per lettori tenaci

(di Felice Celato)

Per tenermi lontano, anche nelle ore dedicate alla letteratura (di solito quelle notturne), dalle cronache deprimenti e dai loro cascami, mi sono avventurato in alcune letture molto impegnative, che riverso qui, sotto forma di mere segnalazioni, per coloro che ne abbiano la voglia e la pazienza. Si tratta di due libri che hanno in comune due cose: la qualità dell’autore (parliamo di due grandi della nostra letteratura contemporanea, Giuseppe Berto e Mario Pomilio, scomparsi rispettivamente nel 1978 e nel 1990) e il tema della narrazione (in estrema sintesi, una rivisitazione delle narrazioni evangeliche, secondo le ottiche di cui dirò subito, partitamente). 

Cominciamo con La gloria di Giuseppe Berto (Neri Pozza, ebook 2017). Si tratta del processo a Gesù raccontato da Giuda, dal suo discepolo-traditore, carico di complessi per essersi percepito come un discepolo non amato e purtuttavia necessario, convinto di essere stato una tragica pedina del disegno Redentore, e, quindi, addirittura co-essenziale al disegno stesso. Le narrazioni evangeliche che fanno da tessuto a quella del romanzo, non rendono conto appieno - Giuda ne è convinto - del significato di queste due morti (quella di Gesù e quella di Giuda) contemporanee e – sostiene Giuda – connesse: Io sono la tenebra, Gesù. Ma a Te, che sei la luce, dagli abissi della mia oscurità continuo a chiedere: nella storia della tua morte, che sarebbe dovuta essere gloria e vittoria sulla morte, io, Giuda, da Te segnato come figlio di perdizione, sono stato semplicemente strumento affinché si adempisse una Scrittura, cioè fosse fatta la misteriosa volontà dell'Eterno? O piuttosto: c'era qualcosa che ci accomunava, qualcosa che, visto come sono andate le cose, non si è adempiuto se non nella conclusione minore che siamo morti tutti e due quasi insieme?

E’, ovviamente, inutile immaginare una discussione teologica del libro, che non è un testo di teologia ma solo una suggestiva rappresentazione drammatica della Passione, raccontata da un attore secondario del dramma che, da dietro le quinte, fatta la sua breve apparizione sulla scena, segue le mosse del Protagonista, invidiandone il ruolo e percependone la grandezza. 

Come dicevo, la materia della narrazione di Berto è, in qualche modo, la stessa di quello di Mario Pomilio (Il quinto evangelio, Bompiani, ebook 2022), un romanzo molto strutturato, molto profondo e scritto con prosa raffinata. Qui l’impianto narrativo si incrocia – anzi forse ne è soverchiato – con uno di tipo saggistico/filologico, sicuramente di grande interesse ma francamente vagamente eccessivo nell’estensione. Il tema sottostante è quello della compiutezza della Rivelazione: in altri termini,  può esistere (o essere esistito in mezzo ai tanti apocrifi della storia) un altro Vangelo autentico, oltre ai quattro canonici? Il Vangelo è un libro compiuto o un libro che la cristianità può, per così dire, continuare a scrivere a mano a mano che si sforza di re-inverare il messaggio della Rivelazione? Un quinto evangelio può essere una metafora dei quattro Vangeli canonici perpetuamente rinnovati dal loro impatto con la storia

La parte finale del libro (che segue la lunga ricostruzione, in gran parte di dichiarata ideazione dell’autore, delle tracce secolari di questo quinto, supposto Evangelio), è un testo teatrale che, in un certo senso, ricapitola le due chiavi narrative del libro, stavolta in modo drammaturgico: attorno al 1940, nella Germania nazista, un gruppo di cittadini di mista estrazione, mette in scena il processo e la passione di Gesù, comparando, nella testimonianza dei vari personaggi del dramma (Giuda e Pilato compresi), i testi dei quattro evangelisti (anch’essi sulla scena) alla presenza del mitico quinto; con la finale irruzione drammatica del presente storico contingente (Germania, 1940).

Come sicuramente si sarà capito, anche dalla fatica di far percepire in poche righe la grande complessità del libro di Pomilio, anche qui ci troviamo difronte ad un testo molto impegnativo; nel rileggerlo a distanza di tanti anni (quasi 50!) dalla prima lettura, mi ha anzi rivelato complessità di cui non tenevo memoria. Ma anch’esso, come quello di Berto, mi sento di raccomandare ai lettori più impegnati e tenaci.

Roma, 17 febbraio 2024

 

 

 

mercoledì 14 febbraio 2024

Metànoia

Un laico esercizio

(di Felice Celato)

Nei tredici anni (dalla primavera del 2011 fino ad oggi) in cui ho condiviso qui, fra amici, alcune sparse e personalissime riflessioni, non credo di aver mai vissuto scenari così complicati e rischiosi come quelli in cui siamo immersi. Scenari bellici, macroeconomici, geopolitici ed Eu-politici che non ho bisogno di descrivere, perché, intrecciati fra loro, sono davanti agli occhi di tutti, solo che – come sembra accadere nel nostro povero paese – non si abbia la ragione definitivamente appannata dai rumori della annuale ostensione di “cultura nazional-popolare” messa in scena a San Remo, mentre scorreva - temo solo sul calendario! - il nostro triste carnevale. 

E, come da calendario, ecco sopraggiungere la quaresima; un tempo di metànoia… cioè di cambiamento interiore… di deserto e di incontro speciale col Padre, come diceva Benedetto XVI; un tempo ideale – proseguiva – per trasformarsi in tempo di grazia, poiché abbiamo la certezza che anche dalla roccia più dura Dio può far scaturire l'acqua viva che disseta e ristora.

Certo, si dirà non senza ragione, questo è un senso della quaresima tipicamente cristiano, non necessariamente percepibile da chi cristiano non si sente. Eppure mi pare che di metànoia – che, non a caso, “contiene” la parola greca che significa pensare –  il mondo intero abbia proprio bisogno; anzi, meglio e di più: mi pare che ogni persona dotata di ragione abbia, appunto, una buona ragione di desiderare, proprio oggi, per sé e per i suoi simili un momento di sosta e di silenzio, per verificare se i sentimenti e i pensieri che abbiamo incamerato e che ci portiamo dietro nel giudicare di ciò che vediamo, non siano solo il frutto marcio delle parole che abbiamo usato o sentito dire. [Ci sarà fra i miei lettori qualcuno che ricorda la spaventevole sequenza qui più volte citata e tratta da un libro di Riccardo Calimani: Le parole generano opinioni e le opinioni danno forma ai sentimenti. I sentimenti diventano fatti; e dico spaventevole avendo in mente il dissennato uso delle parole che il nostro mondo iper-connesso ci vede praticare ogni giorno].

Dunque, anche di una metànoia laica abbiamo bisogno, dopo il carnevale del nostro tempo che, forse, immagina non più replicabili le autentiche esplosioni del male che il ventesimo secolo ha vissuto. 

Ma ogni vera metànoia (dal Vocabolario on line della Treccani: profondo mutamento nel modo di pensare, di sentire, di giudicare le cose), sia laica che fidelis, non può che essere un interiore processo individuale; auspicarne una dimensione collettiva può essere un puro desiderio utopico. Però cominciare da noi stessi è senz’altro un esercizio benefico, perché, come diceva (mi pare) San Bonaventura, bonum diffusivum sui, ciò che è buono tende naturalmente ad essere diffusivo di sé, come fosse un benefico contagio. Noi, cattolici convinti, nella nostra metànoia spirituale andiamo cercando un tempo di grazia. Ma, per restare alla prospettiva laica che qui vogliamo adottare (anche se non coincide integralmente con la nostra), è ragionevole pensare che qualche fermo esercizio di laica metànoia possa essere anch’esso diffusivum sui, magari cominciando – chessò – dal sistematico rifiuto delle opinioni correnti e del modo in cui sono argomentate (quando lo sono) ed enunciate. Questo non basterà, siatene certi, a cambiare le sorti balorde che il nostro tempo sembra voler tessere per sé; ma aiuterà almeno noi stessi a conservare un laico rispetto di noi stessi; che, se fosse anch’esso diffusivum sui, potrebbe risultare un utile antidoto alle follie collettive.

Roma, 14 febbraio 2024